Roma Termini, ore 7:49, sul ciglio del binario 3
Stringo forte tra le dite il mio cartoccio con un doppio cappuccino di soia nella mano sinistra. Con la destra trascino il trolley verde acido acquistato per sbaglio durante una trasferta a Milano.
Intorno a me tutto è quasi monocromatico. Distratta e assonnata, mi faccio rubare quel poco di attenzione mattutina post serata da cose tendenti al verde, mettendo a dura prova il mio vero risveglio cerebrale: il mio trolley, quello di una ragazza frettolosa a qualche metro avanti a me, una borraccia di un finto sportivo, le cerniere di uno zainetto penzolante dalle braccia di un premuroso papà, un cappottino indossato da una signora tendente ai 50 e, alzando lo sguardo con molta calma, la “modesta” insegna lampeggiante di una farmacia che, oltre alla scritta frenetica, tutto sulla destra, posiziona un mega led a croce greca in caso passasse inosservata. Stessa croce che, parallelamente, sento gravare sulla mia testa.
Il treno 8303 è lì pronto per partire, carrozza 6, posto 14C. Occupato. Iniziamo bene.
Sorrido, stringo i denti ed alzo il sopracciglio, un altro posto lato corridoio è libero. Va bene, mi seggo, non me la sento di rompere l’idillio che lega i due vecchietti seduti vicino, core a core.
Apro il tavolino, mi libero le mani e svuoto le tasche, butto tutto giù: due libri, una bottiglietta d’acqua, la pochette, il cappuccino e il sacchetto “Panella” profumante di girella appena sfornata.
Prendo coraggio e do il primo sorso. Avete mai bevuto impavidi un cappuccino doppio consapevoli di posarlo sull’ultima birra risalente a 4 ore prima?! Io si, stamattina. C’ho messo circa 20 minuti a diventare impavida e a mandare giù un sorso. E il terrore di farlo mi ha perseguitato da prima che lo ordinassi, da prima che arrivassi in stazione, da dentro il vagone della metro, dall’uscita di casa praticamente. Già, alla prima rampa di scale di via B Borghesi, ancora in piena fase rem, ho sceso i gradini con pochissime consapevolezze:
sarebbe stato tremendo bere un cappuccino così presto, con lo stomaco in subbuglio; non ho più vent’anni e “a na certa” mi devo regolare; il treno alle 8:05 è una mezza follia; forse è meglio un piatto di sagne piuttosto che uno di ciateddrha*, almeno metto sostanza dopo il concerto di Carotone; non voglio vedere, ma soprattutto sentire, bambini intorno al mio tavolino in carrozza 6 a prima mattina.
L’unico bambino che desidero vedere si chiama Francesco, è tanto dolce, mi viene a prendere in stazione e ieri, per la prima volta da quando è al mondo, mi ha chiamato amore mio.
*piatto tipico salentino, anche chiamato Pancotto salentino

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